Per
i Greci la giustizia era Dike, una
dea cui tutti dovevano sottostare, pure gli dei. Presso i Romani c’era un culto
privato e non convenzionale per lo Ius,
la Legge, che costituiva il sostrato sopra cui tutta la società si fondava.
Dunque la Giustizia da un lato come realizzazione massima di perfezione,
dall’altro come radice della società umana.
Gherardo
Colombo, ex magistrato, noto alle cronache per le inchieste legate alla loggia
massonica P2, a Mani Pulite e per il recente processo Imi-Sir / Lodo Mondatori, consegna alle stampe questo
agile pamphlet, in cui la sua
attività viene esplicitamente posta a servizio dell’educazione alla
cittadinanza, alla legalità, alla giustizia.
Colombo,
in apertura del suo libello, definisce la Giustizia come un punto di riferimento che sia alla base dei rapporti tra gli abitanti del
mondo. Giustizia: concetto che rappresenta un nodo da sciogliere al giorno
d’oggi, in cui sembra che più nessuno abbia tra le proprie virtù quella della
tensione alla legalità. Colpa della società o colpa dell’uomo? La risposta
rimane vaga: sembrerebbe che si fosse innestato a un certo punto dello sviluppo
umano un circolo vizioso per cui da un lato lo Stato non educa più i cittadini
alla legalità, in quanto esso stesso formato dalla non-legalità; dall’altro che
il cittadino sia sempre portato al tradimento di essa per ottenere vantaggi
personali.
E’
comunque certo che la Giustizia deve innervarsi all’interno della società, onde
evitare che si ripetano quei fatti che la Storia ha già marchiato come
esperienze negative di socialità: il fascismo/nazismo, l’apartheid, lo
schiavismo, tanto per citarne alcuni. Il frutto di tutto ciò è stata la
convinzione che la Giustizia avesse un fondamento religioso o naturale, il che
ha creato una società, che Colombo chiama verticale,
in cui la moralità viene imposta dall’alto in base alle convinzioni di chi le
guida, il quale ha tutto l’interesse a mantenere i privilegi di cui dispone.
A
questo modello di società si contrappone quella orizzontale, fondata invece sul diritto che gli uomini hanno deciso
di autoimporsi tramite la legislazione degli stati nazionali o delle
organizzazioni sopranazionali. Il riferimento chiaro è alla Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del
Cittadino, che ha consegnato all’umanità il concetto di Uguaglianza per
nascita di tutti gli uomini. Ma nonostante ciò, la Giustizia rimane sempre
legata a fatti contingenti, particolari, locali: ogni singolo stato o regione
del mondo interpreta la libertà del cittadino in un modo del tutto personale. E
così la Giustizia è ancora lungi dall’essere applicata in modo uniforme.
La
Giustizia pertanto è un’ideale, se vogliamo una utopia. Troppi sono infatti gli
interessi che si intersecano, nel vivere moderno (ma a dire il vero anche
nell’antichità), con il concetto di giusto.
Nel mondo moderno, dice Colombo, trionfano
il sotterfugio, la furbizia, la forza, la disonestà sotto l’apparenza di leggi
uguali per tutti, del rispetto per ogni diritto di base. Coloro che si attengono
alle leggi formali (che non è detto siano pochi) sono scavalcati ogni giorno da
chi non le osserva.
Ma
allora che atteggiamento dovrebbe tenere il lettore di Colombo? Da un lato ci
si attende (forse consapevolmente da parte dell’ex-magistrato) che egli maturi
un moto di rabbia nei confronti di tutti quegli atti (e sono numerosi, nella
tassonomia stilata da Colombo) che nella vita quotidiana rappresentano, più o
meno pesantemente, l’ingiustizia. Ma forse anche è lecito aspettarsi un
sentimento di stanchezza, che potrebbe portare alla tentazione di anacoretizzarsi.
L’intento di Colombo
tuttavia è un semplice accostarsi con calma alla realtà, tentando di seminare
quei pochi concetti che permettono, trovando un buon terreno come nella
parabola del seminatore, di dare luogo ad un cittadino giusto e cosciente del
valore della legalità
Andrea Muraro
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